Il viaggio della lingua: tra sostrati, mutamenti e illusioni normative

innovazione e conservazione linguistica

Dalle radici antiche ai neologismi contemporanei, un percorso attraverso le dinamiche che trasformano l’italiano e ne custodiscono la memoria.

La lingua, in quanto organismo vivo, è il prodotto di un equilibrio sottile tra conservazione e cambiamento. Da un lato, le strutture linguistiche tendono a persistere nel tempo per garantire comprensione e continuità culturale; dall’altro, la lingua muta, si adatta, assorbe nuovi significati e forme. Questo doppio movimento è ciò che rende ogni idioma tanto radicato nella storia quanto proiettato nel futuro.

Il sostrato linguistico: voci del passato nei suoni del presente

Quando parliamo di sostrato linguistico, ci riferiamo a quelle tracce lasciate da lingue precedenti che, pur scomparse, hanno modellato la lingua dominante successiva. In Italia, ad esempio, molte caratteristiche dialettali derivano dalle lingue prelatine: etrusco, ligure, osco, per citarne alcune. Il sostrato ci ricorda che una lingua non nasce mai da zero, ma si costruisce su ciò che l’ha preceduta. Spesso ignoriamo che parole comuni, strutture sintattiche o fonemi atipici sono reliquie di idiomi antichi, sopravvissuti sotto la superficie. Ad esempio, la tendenza a usare la “e” aperta in toscano o la presenza della “b” al posto della “v” in alcune parlate meridionali (come “boca” invece di “voce”) possono essere spiegate con influenze sostratiche. Inoltre, parole italiane di uso comune come “guardia” e “guerra” derivano da radici germaniche (rispettivamente da wardōn e werra), introdotte durante le invasioni barbariche. Allo stesso modo, termini come “zucchero” (da sukkar), “albicocca” (da al-barqūq) e “cotone” (da qutn) testimoniano l’influsso del sostrato arabo, soprattutto attraverso i contatti culturali e commerciali con il mondo islamico nel Medioevo.

Cambiamento linguistico e cambiamento culturale: un binomio non sempre perfettamente allineato

Se è vero che i mutamenti culturali influenzano il linguaggio (basti pensare al lessico digitale entrato nella nostra quotidianità: “cliccare”, “postare”, “scrollare”), non è altrettanto vero che ogni cambiamento linguistico implichi una trasformazione culturale corrispondente. Alcuni mutamenti avvengono per motivi puramente interni alla lingua: semplificazioni fonetiche, analogie morfologiche, usi consolidati nel parlato. Ad esempio, l’uso crescente della forma “gli” al posto di “le” nei pronomi (“gli ho detto” riferito a una donna) nasce da una spinta alla semplificazione sintattica più che da un mutamento ideologico. Altre volte, invece, è la cultura che cambia più rapidamente della lingua, la quale si trova a rincorrere nuovi significati e necessità espressive.

Si può congelare una lingua? La tentazione del tempo immobile

Tentativi di congelamento linguistico ci sono stati, basti pensare all’italiano letterario fissato dai grammatici sul modello di Petrarca e Manzoni. Ma ogni tentativo di cristallizzazione si scontra con l’uso reale della lingua, che continua a evolversi nei contesti orali e scritti quotidiani. Le accademie linguistiche possono regolamentare, consigliare, proporre norme, ma non arrestare il flusso vitale del linguaggio. Conservare una lingua ha senso nella misura in cui si vuole proteggere un patrimonio culturale, ma impedirne l’evoluzione equivale a negare la sua natura dinamica. Ne è un esempio il latino ecclesiastico, mantenuto stabile per secoli a scopo liturgico, ma ormai distante dall’uso quotidiano e accessibile solo a pochi.

L’illusione dei grammatici e il valore degli errori

I grammatici hanno spesso inseguito l’ideale di una lingua pura, corretta, perfetta. Ma questa visione è un’illusione. La storia linguistica è fatta di deviazioni, usi scorrette considerati poi standard, innovazioni nate da errori. Gli errori stessi sono spesso la chiave per comprendere come una lingua si sia trasformata: ciò che oggi è norma, ieri poteva essere sbaglio. Ad esempio, parole come “telefono” o “automobile” inizialmente contestate per la loro composizione greco-latina sono oggi perfettamente accettate. La grammatica non è un codice immutabile, ma una fotografia in movimento della lingua in un dato momento.

In conclusione

la lingua non è una cartografia immobile, ma un paesaggio in costante mutamento, segnato da strati antichi, fratture culturali, rinnovamenti continui. Esplorarla significa riconoscere in essa non solo un mezzo di comunicazione, ma un archivio vivente della storia umana.

📚Riferimenti bibliografici per approfondire

  • Serianni, L. Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. (UTET, 1989)
  • Berruto, G. Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo. (Carocci, 2012)
  • Castellani, A. Saggi di linguistica e filologia italiana. (Edizioni dell’Ateneo, 1980).
  • Migliorini, B. Storia della lingua italiana. (Bompiani, 1963)
  • Simone, R. Fondamenti di linguistica. (Laterza, 2000)
  • De Mauro, T. Storia linguistica dell’Italia unita. (Laterza, 2005)

Valentina Becattini – Tuo Editor e…

Etimologia

Quando le parole si allontanano da sé stesse

Cos’è l’etimologia? È lo studio dell’origine delle parole, ma anche molto di più: è la memoria profonda del linguaggio. Come i nomi antichi delle vie che sopravvivono a ciò che indicavano, anche le parole portano con sé un significato che spesso si è trasformato nel tempo.

Questo articolo esplora parole comuni il cui significato originario è sorprendentemente diverso da quello attuale, con l’obiettivo di riscoprirne la radice storica, sociale e culturale.

Vediamo degli esempi tratti dalla vita quotidiana.

Zucchero: da ghiaia a dolcezza

Lo associamo a dolcezza, infanzia, pasticceria. Eppure la parola zucchero affonda le radici in un mondo molto più speziato e lontano. Deriva dal sanscrito śarkarā, che significava inizialmente ghiaia, sassolini. I primi cristalli di zucchero grezzo, ruvidi e irregolari, portarono con sé questa immagine. Attraversando l’arabo e il latino medievale, giunse a noi come simbolo del dolce.

Camicia: sotto la corazza

Nel mondo della moda è un capo basic, ma camicia ha un’origine militare. Viene dal latino camisia e indicava una tunica leggera indossata sotto la corazza, per proteggere la pelle del guerriero. Un capo intimo, nato per il combattimento.

Passione: dal patire all’amare

Oggi la passione è energia emotiva, slancio, desiderio. Ma nel latino passio, da pati, significava sofferenza. Solo nei secoli successivi questa carica dolorosa è stata rielaborata in senso amoroso o entusiastico.

Estate: la stagione che brucia

L’etimologia di estate affonda in aestus, calore violento, arsura. Per gli antichi non era sinonimo di vacanza, ma della stagione del lavoro intenso nei campi, del caldo che tutto fa crescere (e bruciare).

Banchetto: il pane condiviso

Un tempo banchetto non significava abbondanza. Viene da banca o bancha (panca), ed era il luogo dove si divideva il pane. Da rito essenziale e conviviale, è diventato sinonimo di opulenza. Ma alla base c’è sempre il pane: alimento, simbolo, radice.


Conclusione: parole come paesaggi

Le parole cambiano, si spostano, si reinventano. Conoscere l’etimologia ci aiuta a non prendere il linguaggio come qualcosa di fisso: ogni parola è una strada nella memoria, un ponte per scoprire da dove veniamo.

📚 Approfondimenti

Andate a curiosare tra le fonti seguenti, come ho fatto io, e scoprirete infinite meraviglie linguistiche:

  • Etimologico della Lingua Italiana – Cortelazzo & Zolli

  • Etimologia – Treccani.it

  • Etimo.it – Dizionario etimologico online

  • Devoto-Oli Etimologico

  • Grande Dizionario della Lingua Italiana – Battaglia

 

Valentina Becattini – Tuo Editor e…

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