Show, don’t tell: cosa significa e come applicarlo

Uno dei mantra più noti nella scrittura creativa è “Show, don’t tell”. Ma cosa vuol dire davvero mostrare invece di raccontare? È un semplice vezzo stilistico o nasconde un principio narrativo fondamentale?

Cosa significa “Show, don’t tell”

“Show, don’t tell” invita l’autore a coinvolgere il lettore attraverso esperienze sensoriali, azioni e dialoghi, invece di spiegargli cosa accade o cosa prova un personaggio. Mostrare significa rendere tangibile e concreta un’emozione, un’atmosfera o una situazione, lasciando che il lettore la “veda” o la “senta”, invece di riceverla già interpretata.

Dire: “Marco era arrabbiato” è raccontare.
Scrivere: “Marco lanciò la tazza contro il muro, il volto paonazzo e le mani tremanti” è mostrare.

Perché è importante mostrare?

  • Crea immedesimazione: il lettore vive la scena insieme ai personaggi, non la osserva da fuori.

  • Aumenta la tensione narrativa: il non detto stimola la curiosità e il coinvolgimento.

  • Rende la scrittura più dinamica: invece di elenchi di informazioni, si creano momenti visivi e drammatici.

Esempi pratici: “Tell” vs “Show”

 ESEMPIO 1: STATO D’ANIMO

TELL:

Lucia era triste.

SHOW:

Lucia fissava la pioggia scivolare sul vetro. Da ore non toccava il tè, ormai freddo. Quando le chiesero se andava tutto bene, si limitò a un cenno del capo, senza sollevare lo sguardo.


ESEMPIO 2: RELAZIONE TRA PERSONAGGI

TELL:

Tra Giulia e Matteo c’era tensione.

SHOW:

Matteo allungò la mano per prendere il coltello, ma Giulia fu più veloce. Glielo porse senza guardarlo, le labbra serrate. Il silenzio tra loro era più denso dell’aria nella stanza.


ESEMPIO 3: AZIONE E URGENZA

TELL:

Luca aveva paura e scappò.

SHOW:

Il cuore di Luca tamburellava nel petto mentre correva tra i vicoli, voltandosi ogni pochi passi. Il respiro era corto, le gambe rigide come legno, ma non si fermò.


 Consigli per applicare il “Show, don’t tell”

  1. Usa i cinque sensi
    Non limitarti alla vista: odori, suoni, tatto e gusto arricchiscono la scena e la rendono immersiva.

  2. Sfrutta i dettagli rivelatori
    Un oggetto abbandonato, una piega nel vestito, una frase detta di sfuggita possono dire molto più di una descrizione esplicita.

  3. Ascolta i personaggi
    Il dialogo è uno degli strumenti più potenti per mostrare: cosa dicono, ma soprattutto cosa NON dicono.

  4. Attenzione al ritmo
    Mostrare richiede spazio e tempo. In certi casi (riassunti, passaggi secondari) il telling è utile. Il segreto è l’equilibrio.

Conclusione: quando mostrare e quando raccontare?

“Show, don’t tell” non è una legge assoluta, ma una strategia per rendere la scrittura più viva e cinematografica. Come ogni tecnica, va usata con consapevolezza. Il trucco è capire quali momenti meritano una lente d’ingrandimento narrativa, e quali invece possono essere raccontati rapidamente per non rallentare il flusso.

In sintesi: mostra quando vuoi che il lettore senta, racconta quando basta che sappia.

Valentina Becattini – Tuo Editor e…

I dialoghi: come renderli realistici e coinvolgenti

I dialoghi sono il cuore pulsante di molti romanzi: fanno emergere la personalità dei personaggi, costruiscono tensione, trasmettono informazioni e creano ritmo. Ma non basta far parlare i propri protagonisti. I dialoghi devono essere credibili, dinamici e funzionali alla narrazione. In questo articolo esploreremo gli errori più comuni da evitare e alcune strategie per scrivere conversazioni autentiche e coinvolgenti.


Errori da Evitare nei Dialoghi Narrativi

1. Dialoghi didascalici

Spiegare troppo attraverso il dialogo è un errore frequente, soprattutto tra gli autori alle prime armi. Frasi come:

“Come sai, Marco, sei mio fratello e abbiamo vissuto insieme a Milano per dieci anni prima che tu partissi per Londra.”

I personaggi non si direbbero cose che già sanno. Questo tipo di esposizione forzata suona in modo artificiale e può far perdere credibilità al testo.

Alternativa: mostra l’informazione attraverso l’azione, la memoria, il sottotesto.

2. Linguaggio innaturale o troppo letterario

Scrivere un dialogo come si scriverebbe un saggio è un grave errore. Nella vita reale, le persone si interrompono, esitano, usano intercalari e a volte non completano le frasi.

Esempio poco realistico:

“Mi rincresce profondamente il fatto che tu non abbia mantenuto le promesse fatte in precedenza.”

Versione più autentica:

“Non ci credo… hai di nuovo fatto come ti pare. Ti avevo chiesto una cosa, una sola.”

3. Dialoghi riempitivi o inutili

Conversazioni banali o troppo aderenti alla realtà (“Ciao.” “Ciao, come va?” “Bene, tu?”) rallentano la narrazione. Ogni battuta deve avere uno scopo: rivelare carattere, creare conflitto, far avanzare la trama.

✅ Strategie per scrivere dialoghi autentici

1. Ascolta come parlano le persone

Prendi nota di come la gente parla davvero: i ritmi, le interruzioni, le parole ripetute, gli errori. Può sembrare caotico, ma proprio lì si nasconde la naturalezza.

🎧 Esercizio pratico: trascrivi un dialogo da un film/serie. Analizza il ritmo e le pause.

2. Usa il sottotesto

Spesso, ciò che conta non è cosa si dice, ma ciò che si tace. Il sottotesto è ciò che scorre sotto le parole: tensioni, emozioni, pensieri non detti.

Esempio:

“Allora, sei andato da lei ieri?”
“No… perché me lo chiedi?”
“Così, per sapere.”

Qui il non detto crea tensione e curiosità.

3. Dai a ogni personaggio una voce distinta

Evita che tutti i personaggi parlino nello stesso modo. Ogni voce deve riflettere la personalità, l’età, l’estrazione sociale e il vissuto di chi parla.

Suggerimento: prova a scrivere una battuta anonima. Se togli il nome, il lettore dovrebbe comunque intuire chi sta parlando.

4. Taglia il superfluo

Una buona revisione dei dialoghi è essenziale. Elimina frasi inutili, ridondanze, o espressioni piatte. Ogni battuta deve portare avanti la scena o approfondire un personaggio.


Conclusione

Scrivere dialoghi efficaci è un’arte che si affina con l’ascolto, l’osservazione e la riscrittura. Quando un dialogo funziona, il lettore si dimentica di star leggendo: si sente dentro la scena, come se fosse lì, accanto ai personaggi.

Vuoi migliorare i tuoi dialoghi? Prova a leggere ad alta voce ogni scena, o ancora meglio: recitala. Ti aiuterà a coglierne il ritmo e la naturalezza.

Valentina Becattini – Tuo Editor e…

Self-publishing vs editoria tradizionale: pro e contro

In un panorama editoriale in continua evoluzione, sempre più autori si trovano di fronte a una scelta cruciale: pubblicare in autonomia o affidarsi a un editore tradizionale? La risposta non è univoca. Entrambe le opzioni hanno vantaggi e svantaggi, che è bene conoscere a fondo prima di decidere quale strada intraprendere. In questo articolo esploreremo i pro e contro del self-publishing e dell’editoria tradizionale, offrendo una guida chiara per scrittori esordienti e professionisti.

Self-publishing: libertà, ma con responsabilità

Vantaggi del self-publishing

  • Controllo totale sul prodotto
    L’autore è padrone di ogni fase: dalla scelta della copertina all’editing, dal prezzo alla promozione. Questa libertà può tradursi in una visione più coerente e personale dell’opera.

  • Tempistiche rapide
    Una volta pronto il manoscritto, il libro può essere pubblicato in pochi giorni, senza dover attendere mesi (o anni) per l’approvazione e l’uscita da parte di una casa editrice.

  • Maggior margine di guadagno per copia venduta
    Le piattaforme di self-publishing (come Amazon KDP, StreetLib o Kobo Writing Life) trattengono una percentuale, ma l’autore può ottenere anche il 70% del prezzo di copertina (con determinate condizioni).

  • Accesso diretto ai dati di vendita
    L’autore ha la possibilità di monitorare in tempo reale l’andamento delle vendite, imparando a conoscere il proprio pubblico.

Svantaggi del self-publishing

  • Nessun supporto professionale garantito
    Editing, correzione bozze, impaginazione e promozione sono a carico dell’autore, che deve investire in professionisti esterni.

  • Difficoltà di distribuzione fisica
    I libri self-published raramente finiscono sugli scaffali delle librerie tradizionali, a meno di accordi specifici o strategie mirate.

  • Credibilità percepita
    Alcuni lettori e recensori guardano ancora con sospetto alle opere autopubblicate, considerandole meno affidabili in termini qualitativi.

Editoria tradizionale: prestigio e struttura consolidata

Vantaggi dell’editoria tradizionale

  • Supporto editoriale professionale
    L’autore lavora con editor, grafici, ufficio stampa e team commerciali che si occupano di migliorare e promuovere il libro.

  • Distribuzione capillare
    Le grandi case editrici garantiscono visibilità nelle librerie, nelle fiere, nei festival e nelle principali piattaforme online.

  • Validazione e prestigio
    Essere selezionati da un editore è visto ancora oggi come un “sigillo di qualità” che può aprire le porte a premi, riconoscimenti e collaborazioni.

Svantaggi dell’editoria tradizionale

  • Tempi lunghi e selezione rigida
    L’invio del manoscritto può restare senza risposta per mesi. La concorrenza è altissima e molti testi vengono rifiutati, a volte senza feedback.

  • Margini di guadagno più bassi
    L’autore riceve royalties che variano tra il 5% e il 10% del prezzo di copertina, con pagamenti semestrali o annuali.

  • Minore controllo creativo
    La casa editrice può richiedere modifiche strutturali al testo, decidere la copertina e intervenire sulla comunicazione.

Quale strada scegliere?

La scelta tra self-publishing ed editoria tradizionale dipende da obiettivi personali, competenze e disponibilità di tempo e risorse. Vuoi il pieno controllo e sei disposto a investire nel tuo libro come un piccolo imprenditore? Il self-publishing può offrirti grandi soddisfazioni. Cerchi invece il supporto di una struttura professionale e desideri costruire una carriera letteraria nel circuito tradizionale? Allora vale la pena puntare sull’editoria classica, anche accettando i tempi più lunghi.

In definitiva…

In un mondo editoriale sempre più ibrido, molti autori stanno anche esplorando strade miste: pubblicano in autonomia alcuni titoli, mentre collaborano con editori per altri progetti. L’importante è conoscere i meccanismi di entrambi i modelli per poter prendere decisioni consapevoli e costruire una carriera su misura.

⚠️ Attenzione alle truffe editoriali: editori a pagamento e vanity press

Uno dei pericoli maggiori per gli autori esordienti è cadere nella trappola di editori a pagamento o pseudo-case editrici che si mascherano da professionisti del settore, ma che in realtà puntano solo a guadagnare sull’ingenuità degli scrittori.

Chi sono gli editori a pagamento (vanity press)?

Sono quelle realtà editoriali che, anziché selezionare e investire sull’autore, gli chiedono denaro per pubblicare. A volte si presentano come “partner editoriali”, “editori indipendenti” o con altri nomi accattivanti, ma il modello è semplice: l’autore paga per essere pubblicato, spesso migliaia di euro, senza reali garanzie di distribuzione, qualità editoriale o promozione.

Come riconoscerli

Ecco alcuni segnali d’allarme:

  • Accettano tutto: nessuna selezione reale del manoscritto, anche testi palesemente acerbi vengono “accettati con entusiasmo”.

  • Proposta economica: ti chiedono soldi per “partecipare alle spese di pubblicazione”, “acquistare un pacchetto editoriale” o “contribuire all’investimento”.

  • Contratti poco trasparenti: clausole vaghe, zero menzione di tiratura, distribuzione o rendicontazione vendite.

  • Promesse eccessive: vendite assicurate, premi garantiti, visibilità nelle “migliori librerie”, anche se non hanno una distribuzione reale.

  • Obbligo di acquistare copie: ti impongono di comprare 100, 200 o più copie del tuo stesso libro a prezzo pieno.

Cosa rischi pubblicando con un editore a pagamento

  • Perdi denaro, spesso senza rientrare dell’investimento.

  • Nessuna distribuzione reale: il libro finisce in un catalogo online dimenticato, senza promozione né visibilità.

  • Nessuna crescita editoriale: manca il vero editing, nessuno ti guida nel miglioramento del testo.

  • Difficile “ripubblicare”: molte case editrici serie rifiutano manoscritti già usciti con un editore a pagamento.

Come proteggersi: consigli pratici

  • Diffida da chi ti chiede soldi: un vero editore investe su di te, non chiede a te di investire su di lui.

  • Controlla la reputazione online: cerca recensioni, dibattiti, esperienze e segnalazioni su gruppi dedicati (come Ultima Pagina).

  • Chiedi consiglio: confrontati con altri autori, gruppi di scrittura, o associazioni di categoria.

  • Leggi attentamente il contratto: se hai dubbi, rivolgiti a un consulente legale o a un’associazione di autori come il Sindacato Scrittori Italiani.

Ricorda:

Pubblicare un libro è un traguardo importante, e merita rispetto, professionalità e visione a lungo termine. Se ti viene chiesto di pagare per “realizzare il tuo sogno”, fermati: forse stanno solo cercando di venderti una finzione editoriale, non di valorizzare davvero la tua voce.

Valentina Becattini – Tuo Editor e…

Se trovi questi articoli interessanti, iscriviti alla newsletter!
Trovi il form a piè di pagina 😉

Il tempo della narrazione

Guida alle forme verbali (e non solo) nella narrazione

Quando si scrive narrativa, non si scelgono solo le parole, ma anche il tono con cui raccontare. E il tono passa, spesso, proprio dai verbi: alcune forme, anche se oggi poco usate nel parlato, portano con sé un sapore letterario, evocativo, narrativo.

Scrivere narrativa significa scegliere con consapevolezza come raccontare, e uno degli strumenti più potenti per farlo è proprio la forma verbale. Il tempo in cui si svolge il racconto non è un semplice dettaglio grammaticale, ma un elemento stilistico di grande peso.


Il tempo della narrazione: il passato remoto

Il passato remoto è il tempo narrativo per eccellenza nella lingua italiana. Viene usato per raccontare azioni concluse e distanziate dal presente, ed è particolarmente efficace nei testi letterari e nei racconti. Ha un ritmo più secco, diretto, capace di dare energia e compattezza all’azione.

Esempio:

“Si sedette accanto al camino e attese in silenzio.”

suona molto più narrativo e coinvolgente di:

“Si è seduto accanto al camino e ha aspettato in silenzio.”

Nel primo caso, ci immergiamo in una narrazione classica; nel secondo, percepiamo un tono più cronachistico, vicino al parlato quotidiano.

Forme verbali doppie: letteraria vs narrativa comune

Alcuni verbi italiani hanno due forme corrette al passato remoto: una più alta o letteraria, una più comune. Alcuni esempi sono:

sedé variante alta / sedette variante comune (dall’infinito sedere)
cadé / cadde (inf. cadere)
piacé (arcaico) / piacque (inf. piacere)
apparì / apparve (inf. apparire)
sparì / sparve (inf. sparire)
volé (arcaico) / volle (inf. volere)


Il presente narrativo: immediatezza e coinvolgimento

Anche il tempo presente può essere una scelta narrativa efficace. Pur essendo meno usato nella narrativa tradizionale, ha un potere particolare: dona immediatezza, fa sentire il lettore dentro l’azione, come se tutto accadesse sotto i suoi occhi, in tempo reale.

È usato spesso nei librogame, dove serve a coinvolgere direttamente il lettore in una modalità interattiva:

“Apri la porta ed entri nella stanza buia. Una figura ti osserva in silenzio.”

In altri casi, il tempo presente trova spazio in cornici narrative ben precise, come nei romanzi epistolari o nei diari personali, dove presente e futuro assumono una funzione narrativa forte, legata all’autenticità della voce interiore del personaggio.

Scegliere il tempo presente significa assumere una posizione stilistica chiara, diversa da quella del passato remoto, ma altrettanto potente. Non si tratta solo di “moda” o di comodità grammaticale, ma di uno strumento narrativo consapevole.

Anche alcuni sostantivi possono arricchire la narrazione se si scelgono varianti meno colloquiali. Alcuni esempi:

Seggiola per Sedia
Dimora per Casa
Figlio d’Uomo per Uomo
Fanciullo per Bambino
Timore per Paura
Compagno per Amico

Naturalmente, è bene usare queste parole con equilibrio: troppe tutte insieme rischiano di rendere il testo rigido. Ma scelte mirate possono dare colore e atmosfera al racconto.


Conclusione

Scrivere narrativa non è solo raccontare cosa succede, ma soprattutto come succede. Le forme verbali — insieme a scelte lessicali mirate — possono dare profondità, ritmo, stile al racconto.

Il passato remoto è la voce classica della narrazione italiana, ma non l’unica. Anche il presente può creare effetti potenti: immediatezza, interazione, intimità. L’importante è scegliere con intenzione, con consapevolezza, e non per abitudine.

Perché ogni tempo verbale è una lente diversa sulla storia. E un bravo narratore sa quando cambiare lente per ottenere l’effetto desiderato.

Valentina Becattini – Tuo Editor e…

La lunga vita del libro: dalle origini al digitale

Il 23 aprile si celebra la Giornata mondiale del libro e del diritto d’autore, un’occasione speciale per rendere omaggio a quell’oggetto straordinario che, da secoli, custodisce e trasmette il sapere umano: il libro.

Ripercorriamo insieme la storia del libro, dalle sue forme più antiche all’e-book, per capire come si è evoluto il modo di leggere — e scrivere.

1. Le origini: tavolette, rotoli, codici… e molto di più

I primi “libri” dell’umanità non erano affatto simili a quelli che conosciamo oggi, e non sempre erano fatti di parole scritte su carta. In effetti, la scrittura stessa era un’invenzione relativamente tardiva, e il desiderio di trasmettere informazioni, memorie e conoscenze ha preso forme molto diverse nelle varie culture.

Tavolette e rotoli: il sapere inciso

  • In Mesopotamia, si usavano tavolette d’argilla incise con scrittura cuneiforme, resistenti e durature.
  • In Egitto, il papiro permetteva la creazione di rotoli che potevano essere lunghi diversi metri, usati nei testi religiosi e amministrativi.
  • In Grecia e a Roma, la nascita del codex (libro con pagine cucite) rappresentò una vera rivoluzione: era maneggevole, pratico e consultabile rapidamente.

I quipu andini: il libro fatto di nodi

Molto prima dell’arrivo degli spagnoli, le popolazioni incaiche e preincaiche dell’America Latina utilizzavano un sistema straordinario per la registrazione delle informazioni: i quipu.

Erano cordicelle colorate con nodi, ognuna con posizione, colore e sequenza specifica, in grado di codificare dati numerici e – secondo alcuni studiosi – anche concetti narrativi.

Questo sistema permetteva di memorizzare censimenti, raccolti agricoli, cronache e altre informazioni essenziali, rappresentando una forma non alfabetica di “scrittura libraria”.

Libri su lino: gli etruschi e il “Liber Linteus”

Nel bacino del Mediterraneo, gli Etruschi – popolo raffinato e colto – usavano supporti particolari, come il lino. Il caso più famoso è il Liber Linteus, oggi conservato in Croazia.

Si tratta del più lungo testo etrusco esistente, scritto su fasce di tela di lino, successivamente riutilizzate come bende funerarie. Probabilmente era un calendario rituale o religioso.

Un libro antico, fragile e prezioso, che dimostra come la scrittura potesse adattarsi a materiali organici diversi dalla pergamena o dal papiro.

2. L’invenzione della stampa (1455): il libro moderno nasce a Magonza

Con Gutenberg e la sua Biblia Latina, stampata con caratteri mobili nel 1455, il libro entra nella sua età moderna. La stampa tipografica consente riproduzioni su larga scala, riducendo tempi e costi di produzione e diffondendo rapidamente la conoscenza in Europa.

La stampa fu motore della Riforma, dell’Illuminismo e della Rivoluzione scientifica.

3. I grandi editori del Cinquecento: Aldo Manuzio e la nascita del libro tascabile

Nel Cinquecento nasce la figura dell’editore moderno, con nomi leggendari come Aldo Manuzio a Venezia, che inventò il libro in formato portatile, leggibile ovunque, e introdusse l’italico (corsivo) come carattere tipografico.

I libri non erano più solo oggetti di prestigio: diventavano strumenti quotidiani per lo studio e il piacere della lettura.

4. L’editoria moderna: industrializzazione e democratizzazione della lettura

Dal XIX secolo in poi, l’avvento della stampa industriale, delle librerie popolari e dell’istruzione obbligatoria rese il libro accessibile a tutte le classi sociali. Nascono le prime collane editoriali e si affermano grandi gruppi editoriali in Europa e negli Stati Uniti.

I libri diventano strumenti di massa: romanzi d’appendice, manuali scolastici, enciclopedie e narrativa d’intrattenimento.

5. Il libro oggi: tra carta ed elettronica

Nel XXI secolo, il digitale ha rivoluzionato l’esperienza del libro. Sono nati gli e-book, gli audiolibri, e le piattaforme di self publishing, che offrono nuovi spazi espressivi agli autori. Tuttavia, il libro cartaceo resiste, grazie alla sua materialità, all’esperienza sensoriale della lettura e al suo valore culturale.

6. La salute del libro stampato

Nel 2024, il mercato dei libri a stampa in Italia ha registrato una leggera flessione. Le vendite nel settore trade (che include narrativa e saggistica per adulti e ragazzi) sono state pari a 103,987 milioni di copie, con un calo del 2,3% rispetto all’anno precedente. In termini di valore, il mercato ha raggiunto 1.533,8 milioni di euro, segnando una diminuzione dell’1,5% rispetto al 2023 (dati condivisi dall’Associazione Italiana Editori sulla base di un’indagine di NielsenIQ-GfK).​

Parallelamente, il settore digitale ha mostrato una crescita: gli e-book hanno generato un fatturato di 84,2 milioni di euro, con un aumento del 4% rispetto all’anno precedente. Gli audiolibri hanno raggiunto i 30 milioni di euro, registrando una crescita del 7,1% (da una ricerca condotta da NielsenIQ per Audible).

Nonostante la crescita del digitale, il libro cartaceo continua a rappresentare la parte predominante del mercato editoriale italiano.​

Nota personale: Ammetto che, per questioni di spazio e praticità, l’e-book offre indubbi vantaggi. Tuttavia, l’atmosfera unica del libro stampato — il profumo della carta, la sensazione delle pagine tra le dita — è, per me, impareggiabile.​

Curiosità dal mondo: il libro non sempre ha pagine

India antica
I testi sacri indù, come i Veda, erano scritti su foglie di palma, incise con uno stilo e poi legate con spaghi, formando dei fascicoli leggibili a scorrimento orizzontale.

Tibet
I testi buddhisti venivano copiati su fogli rettangolari sciolti, spesso custoditi in scatole lignee scolpite. La lettura era “a pile”, sfogliando le pagine una sopra l’altra, come un mazzo di carte.

Giappone
Nel periodo Heian, nasce il libro a fisarmonica, con pagine piegate a zig-zag, perfette per testi calligrafici e illustrati. Una forma che oggi ritroviamo nei leporelli (libro in cui le pagine sono unite tra loro e piegate a zig-zag, proprio come una fisarmonica).

Africa occidentale
In molte culture del Sahel, testi religiosi islamici venivano scritti su tavolette di legno, lavabili e riscrivibili: un metodo educativo interattivo e sostenibile.

Scrittura orale: il libro che vive nella memoria

Prima (e spesso anche accanto) alla scrittura, moltissime culture hanno trasmesso storie, leggi, genealogie e conoscenze oralmente. La scrittura orale è un’espressione che può sembrare contraddittoria, ma indica un insieme di tecniche narrative e mnemoniche utilizzate per conservare e trasmettere saperi.

Dalle epopee omeriche ai griot africani, dai canti epici indiani alle saghe nordiche, la parola viva era il “libro” di intere civiltà.

La cultura orale non è una forma primitiva di sapere: è strutturata, codificata e sofisticata, capace di evolversi pur mantenendo una forte coerenza interna. In alcune comunità indigene, l’oralità è ancora oggi il principale strumento di trasmissione della conoscenza.

Conclusione: leggere oggi è un atto di resistenza creativa

Il libro, da rotolo a codice, da stampa a schermo, continua a evolversi. La sua forma cambia, ma il suo cuore resta lo stesso: è un ponte tra le menti, uno strumento di libertà, una casa per le storie. Celebriamolo, ogni giorno.

Valentina Becattini – Tuo Editor e…

Il personaggio che respira: tecniche per creare protagonisti vivi

Dalla scheda personaggio ai desideri profondi. Archetipi, conflitti interni, voci autentiche.

Introduzione: oltre la carta, il respiro

Ogni storia nasce da un cuore pulsante: il personaggio. Un protagonista credibile, tridimensionale e vivo non si costruisce solo con una lista di caratteristiche anagrafiche. Occorre scavare sotto la superficie, trovare ciò che lo muove, ciò che teme, ciò che desidera. Questo articolo esplora tecniche narrative e strumenti pratici per dare vita a personaggi che non solo sembrano veri, ma che vivono dentro e fuori la pagina.


1. La scheda personaggio: uno strumento, non una gabbia

Molti scrittori iniziano creando una scheda personaggio: nome, età, aspetto, hobby, background. Utile, certo. Ma attenzione: il rischio è fermarsi al profilo da social network. Una buona scheda va arricchita con:

  • Contraddizioni interne (un medico che ha paura del sangue).

  • Segreti (cose che il personaggio non direbbe a nessuno).

  • Domande aperte (cosa succederebbe se…).

Un trucco efficace? Scrivi una giornata-tipo del tuo personaggio, in prima persona, come se fosse un diario.


2. I desideri profondi: la bussola narrativa

Tutti vogliamo qualcosa. I personaggi ben costruiti, anche. Ma oltre al desiderio manifesto (“voglio diventare famoso”), c’è spesso un desiderio nascosto (“voglio sentirmi amato”). Questo doppio livello crea tensione e risonanza emotiva:

  • Desiderio conscio: motiva le azioni.

  • Desiderio inconscio: rivela la vulnerabilità.

Scava con domande: Cosa vuole davvero? Perché? Cosa teme? Cosa nasconde?


3. Archetipi e originalità: partire dalle radici per creare unicità

Gli archetipi non sono cliché, ma strutture universali. Il Viaggiatore, l’Orfano, il Ribelle, l’Innocente: sono codici narrativi che attivano empatia immediata. La chiave è partire da lì e poi rompere lo schema:

  • Un Guerriero che odia la violenza.

  • Un Mago che ha perso la fede.

  • Un Amante che non crede più nell’amore.

L’archetipo diventa così una base per sorprendere, non per incasellare.


4. Il conflitto interno: dove nasce il dramma vero

Il vero motore narrativo non è l’azione esterna, ma la lotta interiore. Quando il personaggio è diviso tra due pulsioni, la tensione cresce e il lettore resta incollato:

  • Coraggio vs Paura.

  • Lealtà vs Desiderio personale.

  • Verità vs Convenienza.

Il conflitto interno genera evoluzione: il personaggio cambia, cade, si rialza. Proprio come noi.


5. La voce autentica: scrivere “dalla pancia” del personaggio

La voce è ciò che rende unico un personaggio sulla pagina. Non si tratta solo di dialoghi, ma di visione del mondo, tono, ritmo del pensiero. Prova a:

  • Scrivere scene in prima persona per trovare la sua voce.

  • Togliere te stesso dall’equazione: entra nei suoi panni.

  • Ascoltare: il personaggio ha una musica interiore.

Il lettore non ricorda cosa ha fatto un personaggio, ma come l’ha detto, come l’ha sentito.


Conclusione: vivi, contraddittori, memorabili

Un personaggio che respira è quello che, chiuso il libro, continua a camminare nella mente del lettore. Non serve che sia simpatico. Serve che sia vero. E per essere veri, i personaggi — come le persone — devono avere cicatrici, desideri, paure, sogni. Solo allora, la pagina smette di essere carta e diventa carne.

Valentina Becattini – Tuo Editor e…

L’arte dell’incipit: come catturare al primo sguardo

5 tipi di incipit con esempi e esercizi per trovare quello più adatto alla tua storia

Perché l’incipit è cruciale?

Nel mondo dell’editoria contemporanea, dove lettori e editori sono sommersi da manoscritti e titoli, l’incipit rappresenta il tuo primo colpo d’occhio, il “gancio” che trattiene chi legge sulla soglia del tuo mondo narrativo. Un incipit efficace non solo introduce, ma incanta, afferra, promette. È la prima nota di una sinfonia narrativa che deve risuonare subito con forza.

Ma come trovare la formula giusta? Esistono diversi tipi di incipit, ciascuno con la propria forza evocativa. Conoscerli è il primo passo per scegliere quello più adatto alla tua storia.

 1. L’incipit d’azione

Subito nel vivo

Un inizio carico di movimento e tensione, che proietta immediatamente il lettore nel cuore della scena.

Esempio:

«Le urla arrivarono dalla strada prima che Marco avesse il tempo di chiudere la finestra.»

Quando usarlo:
Perfetto per thriller, fantasy, romanzi d’avventura o in generale storie con forte dinamismo.

Esercizio:
Scrivi una scena d’azione in quattro righe, senza contesto. Poi chiediti: cosa si capisce del mondo narrativo solo da questo movimento?


2. L’incipit atmosferico

L’evocazione del mondo

Si basa sull’ambientazione sensoriale, trasportando chi legge in un’atmosfera precisa, spesso poetica o inquietante.

Esempio:

«La nebbia si arrampicava sui tetti come un gatto silenzioso, e ogni cosa sembrava sospesa, trattenuta in un respiro d’inverno.»

Quando usarlo:
Ideale per storie introspettive, gotiche, storiche, o letterarie dove l’ambiente è protagonista.

Esercizio:
Descrivi un luogo che ami o che ti inquieta usando solo immagini sensoriali, evitando azioni o dialoghi.


 3. L’incipit di pensiero

Dentro la mente del personaggio

Apre con una riflessione o una voce interiore, creando subito empatia o mistero.

Esempio:

«Se davvero esisteva un momento in cui tutto era cambiato, doveva essere stato quel pomeriggio in cui non rispose alla chiamata.»

Quando usarlo:
Funziona bene in romanzi psicologici, young adult, di formazione, o quando vuoi subito far emergere il conflitto interno del protagonista.

Esercizio:
Scrivi il pensiero ossessivo di un personaggio senza nominare esplicitamente l’oggetto del suo pensiero. Poi rileggi e cerca le suggestioni implicite.


4. L’incipit di dialogo

Una voce che interrompe il silenzio

Inizia con una battuta di dialogo che incuriosisce o destabilizza, come se il lettore entrasse in una conversazione già iniziata.

Esempio:

«Non c’è niente nella bara, te l’avevo detto.»

Quando usarlo:
Perfetto per storie corali, noir, o romanzi che puntano molto su dinamiche tra personaggi e ritmo serrato.

Esercizio:
Scrivi un dialogo tra due sconosciuti in una situazione surreale. Elimina la descrizione e vedi cosa si capisce solo dalle battute.


5. L’incipit informativo (o dichiarativo)

Una verità, una regola, un fatto

Si apre con un’affermazione forte, quasi aforistica o programmatica, che dà subito tono e direzione alla storia.

Esempio:

«Tutti gli uomini della famiglia Giordani muoiono il giorno del loro quarantesimo compleanno.»

Quando usarlo:
Adatto per storie con una forte struttura tematica, satiriche, distopiche, o che contengono elementi fantastici o simbolici.

Esercizio:
Scrivi una frase che potrebbe essere l’incipit di una leggenda familiare, di una profezia o di un diario segreto.


Come scegliere il tuo incipit ideale

  1. Conosci il cuore della tua storia. È guidata più dall’azione, dall’ambiente, dai pensieri, dai personaggi o da un’idea forte?

  2. Scrivine almeno tre versioni diverse. Sperimenta con forme opposte: lo stesso incipit d’azione può diventare atmosferico, oppure dichiarativo.

  3. Leggi ad alta voce. La musicalità è spesso ciò che rende memorabile un incipit.

  4. Testalo. Fai leggere solo l’incipit a qualcuno: vorrebbe andare avanti?


In conclusione

Scrivere un incipit è un’arte dentro l’arte. È architettura e magia insieme. Che tu scelga il fuoco dell’azione o il gelo dell’atmosfera, ricorda che ogni parola all’inizio della tua storia ha un peso specifico. È il tuo biglietto da visita. Fallo brillare.

Valentina Becattini – Tuo Editor e…

Come si accende una storia?

Guida alla creazione dell’idea narrativa: dalla scintilla iniziale al concept forte

Ogni storia nasce da un punto di partenza, spesso piccolo, impalpabile, eppure potentissimo: l’idea narrativa. Ma cosa si intende davvero per “idea”? E come si trasforma quella prima intuizione in una struttura narrativa solida e coinvolgente?

1. La scintilla iniziale: l’intuizione grezza

L’idea narrativa spesso si presenta in forme rudimentali: un’immagine, una frase, una domanda, una scena intravista nella mente. Non è ancora una trama, e nemmeno un tema. È una suggestione, un punto di partenza.

Esempio: “E se un giorno le persone smettessero di sognare?”

Questa è una scintilla. Non dice nulla su chi sono i personaggi, cosa accade, o quale messaggio vuole trasmettere. Ma ha un potenziale narrativo.

2. Dall’idea al concept

Un concept narrativo forte prende la scintilla e la sviluppa in un nucleo chiaro e intrigante, capace di reggere l’intera storia. A differenza dell’idea, il concept risponde a domande fondamentali: Chi? Cosa? Dove? Perché?

Partendo dalla nostra scintilla: “In un mondo dove le persone hanno smesso di sognare, un bambino scopre di poter ancora farlo e diventa una minaccia per l’ordine stabilito.” Ora abbiamo un contesto, un protagonista, un conflitto implicito. Questo è un concept.

3. Differenza tra idea, trama e tema

  • Idea: l’intuizione originaria. Un seme.
  • Concept: l’idea sviluppata in una premessa narrativa solida.
  • Trama: la sequenza di eventi che accadono nella storia. L’intreccio.
  • Tema: il significato profondo della storia. Ciò che essa esplora, come la libertà, l’identità, il sacrificio.

Nel nostro esempio:

  • Idea: “E se le persone smettessero di sognare?”
  • Concept: Un bambino è l’ultimo a sognare in un mondo che ha dimenticato l’immaginazione.
  • Trama: Il bambino viene scoperto, braccato, trova alleati e cambia il destino dell’umanità.
  • Tema: Il potere dell’immaginazione come atto rivoluzionario.

4. Come trovare la propria idea narrativa

  • Parti da ciò che ti ossessiona o ti emoziona.
  • Fatti domande strane: “E se…?”
  • Osserva il mondo reale, e poi capovolgilo.
  • Pensa in termini visivi o emozionali prima che logici.

5. Coltivare l’idea

Non tutte le idee sono pronte per diventare storie. Alcune vanno lasciate decantare, altre tornano dopo anni. Annota tutto, esplora senza fretta, confrontati con altri.

Conclusione

Accendere una storia è come accendere un fuoco: serve una scintilla, ma anche legna buona, ossigeno, e il coraggio di lasciarla divampare. Un’idea narrativa non è ancora una storia, ma è il primo passo per crearne una che possa accendere la mente (e il cuore) dei lettori.

Valentina Becattini – Tuo Editor e…

Il Viaggio dell’Eroe: guida alla struttura narrativa più famosa (e come reinventarla)

Il Viaggio dell’Eroe: guida narrativa o cliché da evitare?

Il Viaggio dell’Eroe è una delle strutture più conosciute e utilizzate nella narrativa contemporanea. Ma è ancora un valido alleato per lo scrittore moderno o rischia di trasformarsi in una gabbia narrativa? In questo articolo analizziamo le sue origini, la sua evoluzione e come usarlo (o sovvertirlo) in modo efficace.

Le origini: Campbell e Vogler

Tutto parte da Joseph Campbell, mitologo e antropologo, che nel 1949 pubblica L’eroe dai mille volti, identificando il “monomito” comune a tutte le culture: una sequenza archetipica di eventi che l’eroe affronta nel suo cammino di trasformazione.

Christopher Vogler, negli anni ’90, semplifica e adatta il modello per Hollywood, creando una struttura in 12 tappe, divenuta la spina dorsale di moltissimi film e romanzi di successo:

  1. Mondo ordinario
  2. Chiamata all’avventura
  3. Rifiuto della chiamata
  4. Incontro con il mentore
  5. Attraversamento della prima soglia
  6. Prove, alleati e nemici
  7. Avvicinamento alla caverna più profonda
  8. Prova centrale
  9. Ricompensa
  10. Via del ritorno
  11. Resurrezione
  12. Ritorno con l’elisir

Perché funziona ancora

Il Viaggio dell’Eroe rispecchia un processo psicologico universale: l’evoluzione interiore. Dà struttura e ritmo alla narrazione, guida l’arco del personaggio e facilita l’identificazione del lettore.

Questa mappa narrativa permette di costruire storie solide, ricche di tensione e significato. Non a caso è ancora oggi utilizzata in ambito cinematografico, letterario e persino nel marketing narrativo.

Quando diventa un cliché

Se applicata in modo meccanico, questa struttura rischia di produrre storie prevedibili e personaggi stereotipati. Molte narrazioni contemporanee sembrano variazioni dello stesso schema, impoverendo la varietà narrativa.

Il rischio è soprattutto nella ripetizione degli archetipi senza reinterpretazione: il mentore saggio, l’antagonista oscuro, l’eroe riluttante… tutti già visti e prevedibili.

Come innovare il Viaggio dell’Eroe

Molti autori moderni giocano con la struttura per rinnovarla:

  • Cambiando il protagonista: l’eroe può essere un’antagonista, una figura marginale o collettiva.
  • Spostando il focus: il viaggio diventa interiore, simbolico, oppure collettivo.
  • Rimescolando le tappe: l’ordine può essere alterato o alcune fasi omesse.
  • Usando generi alternativi: dal realismo magico alla speculative fiction.

Esempi notevoli includono Mad Max: Fury Road (eroe passivo, co-protagonista attivo), Everything Everywhere All At Once (viaggio frammentato e multiversale), o romanzi come Circe di Madeline Miller, dove l’epica diventa intima.

Consigli pratici per scrittori

  • Parti dalla struttura, ma non farti dominare: usala come bussola, non come prigione.
  • Chiediti: “Che tipo di trasformazione affronta il mio personaggio?”
  • Gioca con le aspettative del lettore: sovverti archetipi e tappe classiche.
  • Integra il contesto culturale: non tutti i viaggi devono essere occidentali.

Conclusione

Il Viaggio dell’Eroe resta un potente strumento narrativo, ma va usato con consapevolezza. In un panorama sempre più vario e complesso, ciò che conta è la voce dell’autore e la verità emotiva del personaggio. Che tu scelga di seguirlo, reinventarlo o evitarlo, ricorda: ogni storia è un viaggio. E ogni scrittore è, a suo modo, un eroe.


Valentina Becattini – Tuo Editor e…

Scegliere il punto di vista: la voce giusta per raccontare la tua storia

 

Hai mai pensato a chi sta raccontando davvero la tua storia? Non è una domanda banale: la scelta del punto di vista narrativo può fare la differenza tra un romanzo che vibra di vita e uno che rimane distante, asettico.
Il punto di vista (o POV – Point of View) non è solo una questione tecnica, ma una decisione stilistica e strategica, capace di determinare l’intimità, la tensione e il coinvolgimento emotivo del lettore.

Vediamo insieme le principali opzioni narrative – prima, seconda e terza persona – con vantaggi e limiti (anche per il lettore) e consigli su come sceglierle.


PRIMA PERSONA: “Io” sono la storia

La prima persona ci mette nei panni del protagonista, con uno sguardo filtrato dal suo vissuto, dai suoi pensieri e pregiudizi. È come leggere un diario, o ascoltare una confidenza.

Vantaggi:

  • Immersione totale nella psiche del personaggio

  • Tono autentico, personale, spesso riconoscibile e memorabile

Svantaggi:

  • Conoscenza limitata ai fatti noti al narratore

  • Rischio di monotonia se il personaggio non ha una voce forte

Esempio classico:
📘 “Chiamatemi Ismaele.”Moby Dick, H. Melville
Esempio moderno:
📗 “Mi chiamo Rachel. Ogni mattina prendo lo stesso treno.”La ragazza del treno, Paula Hawkins

Quando usarla:
Perfetta per romanzi psicologici, thriller, young adult, romanzi di formazione.

Consiglio: La prima persona è potente solo se il personaggio ha una voce originale. Non basta dire “Io”, serve avere qualcosa da dire in modo unico.


 SECONDA PERSONA: “Tu” sei il protagonista

Rara, audace, spesso riservata alla sperimentazione, la seconda persona chiama in causa direttamente il lettore, facendolo sentire protagonista attivo.

Vantaggi:

  • Coinvolgimento immediato e insolito

  • Sensazione immersiva, quasi da videogioco o diario interattivo

Svantaggi:

  • Difficile da sostenere su un romanzo intero

  • Può risultare forzata o innaturale

Esempio:
📘 “Ti svegli nella stanza sbagliata. C’è odore di fumo, ma non ricordi dove sei.”
Questo tipo di POV è stato usato in narrativa sperimentale (Italo Calvino, Jay McInerney) e nei racconti librogame (Scegli la tua avventura).

Quando usarla:
Ideale per racconti brevi, thriller psicologici, romanzi interattivi, scrittura sperimentale.

Consiglio: Usala se vuoi creare un legame diretto e disturbante tra lettore e storia. Ottima per storie che giocano con l’identità o la percezione.


 TERZA PERSONA LIMITATA: lui/lei… ma dentro la sua testa

Una delle forme più diffuse. Il narratore è esterno, ma entra nella testa di un personaggio alla volta, mostrando il mondo dal suo punto di vista.

Vantaggi:

  • Equilibrio tra vicinanza emotiva e visione esterna

  • Permette introspezione, senza perdere la struttura narrativa classica

Svantaggi:

  • Limitata a ciò che un solo personaggio sa o percepisce

  • Cambiare POV richiede una gestione attenta e coerenza

Esempio:
📘 “Elena guardò fuori dalla finestra, ignorando il cellulare che continuava a vibrare sul tavolo.”

Quando usarla:
Ottima per narrativa contemporanea, romance, gialli, fantasy focalizzati su un eroe.

Consiglio: Scegli un punto di vista per scena. Non saltare da una mente all’altra senza una cesura chiara.

 TERZA PERSONA ONNISCIENTE: lo sguardo dall’alto

Qui il narratore sa tutto: pensieri, emozioni, retroscena, eventi futuri. È un narratore “Dio”, che guida la storia dall’alto, con una voce che può essere anche molto presente.

Vantaggi:

  • Ampiezza narrativa e profondità

  • Possibilità di saltare tra luoghi, personaggi, piani temporali

Svantaggi:

  • Minore immedesimazione

  • Rischio di spiegare troppo (telling > showing)

Esempio:
📘 “Giorgio non sapeva ancora che quella sera avrebbe cambiato la sua vita. Ma Francesca, a pochi chilometri di distanza, stava già scrivendo il loro destino.”

Quando usarla:
Adatta a romanzi storici, saghe familiari, epopee corali, narrativa classica.

Consiglio: Mantieni una voce narrante coerente e forte, quasi autoriale. L’onniscienza va dosata con eleganza.


 VARIANTI E SPERIMENTAZIONI

Non esiste una regola fissa. Puoi:

  • Alternare prima persona multipla (es. thriller con più voci)

  • Usare un narratore non affidabile, che mente al lettore (vedi Fight Club)

  • Mescolare POV e tempi verbali, ma con criteri chiari e coerenza stilistica


✍️ ESERCIZIO PRATICO PER SCRITTORI

Prendi una breve scena (un litigio, un incontro, una scoperta) e riscrivila in:

  1. Prima persona

  2. Terza persona limitata

  3. Terza persona onnisciente

Confronta le tre versioni. Quale ti permette di dire di più, e quale coinvolge di più? Il punto di vista è anche un modo per capire chi ha davvero voce nella tua storia.


Conclusione: Chi racconta la tua storia?

Non esiste una scelta giusta in assoluto, ma c’è sempre un punto di vista più adatto al tipo di storia, tono e messaggio che vuoi trasmettere.
Fermati a riflettere: Chi è la voce più autentica per raccontare questa storia? La risposta potrebbe sorprenderti — e cambiare tutto.

Valentina Becattini – Tuo Editor e…